Le carte in tavola - 1969

LE CARTE IN TAVOLA DI BUCHER

MONDO SOMMERSO - maggio 1969

di Raimondo Bucher

Raimondo Bucher l'abbiamo incontrato recentemente al Salone di Genova. I soliti « come stai », « cosa -fai » e poi — prima di parlare di barche — qualche domanda sull'attuale momento subacqueo. "Sarei un po' polemico" dice. Ma, se la polemica ha un fondamento e una paternità, non spaventa la rivista. Da qui un invito e l'invio di queste « carte in tavola » di Bucher

E' molto utile - a mio avviso - il colloquio più intensificato sui vari problemi subacquei che si riapre puntualmente sulla nostra rivista a primavera. Coincide con l'inizio della stagione buona per gli sport subacquei e con l'avvio degli esperimenti annuali per la conquista delle profondità.

Cousteau è già nelle acque di Ceylon per farvi cinema ed altro. Gli uomini di Link si trovano alle Bahamas per provare il piccolo sottomarino da grandi profondità. I corallari italiani si apprestano ad iniziare la loro caccia all'oro rosso. Milioni di subacquei si equipaggiano per la loro stagione di pesca. Gli industriali presentano e vantano le loro novità. Qualche congresso medico da una incipriatina al tutto.
V'è un aspetto deficitario in questo colloquio. Sempre più numerosi diventano i subacquei - amatori e non -, aumentano, di conseguenza, gli incidenti da immersione, spesso letali. Non è possibile definire con estrema esattezza l'ampiezza di questo aspetto drammatico del fenomeno perché mancano dati, statistiche, studi e un controllo puntuale della situazione.

Il consiglio che ha sempre avuto il sopravvento, ogni qualvolta ci si è accinti ad affrontare questo problema, è stato quello di non parlarne. Perché - si dice - allarmare la gente, invogliare qualche deficiente a legiferare a vanvera, ad emanare disposizioni di ordine pubblico che non servirebbero ad evitare guai ma, soltanto; a renderci difficile la vita. Ed è, invece, meglio vederli da vicino questi problemi per tentare di approfondirli e, nella linea del possibile, risolverli con cognizione di causa.
A questo punto, viene spontanea la domanda se questa attività subacquea sia, dunque, tanto pericolosa e quali sono le cause e i rimedi di tanti incidenti che annualmente vengono lamentati.

Stabiliamo, anzitutto, che, pur essendo ovvio, un fattore spesso non viene valutato nella sua giusta misura: lo sport subacqueo è esercitato in un ambiente dove la presenza dell'uomo, visto sotto ogni profilo, si presenta negativamente. Anche se, come certe ipotesi scientifiche usano sostenere, i nostri antenati sarebbero proprio usciti dall'acqua. Da milioni di anni, il nostro organismo si è allontanato da questo elemento, ne ha perduto ogni dimestichezza e ha eretto un'invalicabile barriera: il terrore dell'abisso liquido e della morte.

Solo nei tempi più recenti, si è tornati a volere riscoprire questa parte del globo, i tré quarti del tutto, e in pochi anni si sono fatti passi notevoli.

Questa corsa, però, è stata rapida, non vi è stato il tempo sufficiente per assimilare la novità della prospettiva che sconvolge e modifica cosi radicalmente le nostre abitudini, la nostra sensibilità e la nostra condizione psico-fisica dell'esistenza terrestre.
Solo attraverso un minuzioso e particolareggiato adattamento, si svilupperanno in noi le condizioni indispensabili per poter affrontare con il minimo rischio questa attività tanto diversa dalle consuete. Dovrà svilupparsi in noi una nuova mentalità, la mentalità subacquea. Il nostro fisico è esposto a violente variazioni di sforzi, di temperature e di pressione e solo lentamente, con costante, continuo allenamento ci si potrà adattare abbastanza bene.

Anche il progresso tecnico ha bruciato le tappe: in quindici anni si è fatto nell'immersione a corpo libero un salto dai dieci ai trenta metri, mentre in questi giorni ci siamo avvicinati ai sessantacinque.
E', quindi, chiaro che la massa non ha potuto seguire il passo, non vi è stata la possibilità per lo sportivo della domenica di aggiornarsi, di maturarsi, di apprendere ed assimilare a fondo; a parte il fatto che, anche da un punto di vista fisiologico, si può ipotizzare che non vi sia stato un allenamento adeguato.

L'impiego degli apparechi di respirazione ha sollecitato ancora di più gli eventi. Nel 1947 si provavano in Italia i primi rudimentali apparecchi ad aria, mentre attualmente si superano i 100 metri e addirittura si lavora molto al di sotto di questa quota. L'immersione in apnea è rimasta un'impresa sportiva nel puro termine atletico, col solo ausilio dei muscoli e dei polmoni.
L'immersione con gli apparecchi ci ha posto dinanzi problemi molto gravi, di cui, ancora oggi, si sa poco o che sono (del tutto sconosciuti). Questa premessa apparentemente ovvia serve per mettere in evidenza la prima causa che provoca tanti incidenti e per individuarne una seconda che, a nostro parere, è ben più grave.
Ci sono stati i pionieri dello sport subacqueo che, in tempi particolarmente felici (data l'abbondanza della fauna) scendevano a 10 metri e compivano imprese per le quali erano già considerati dei campioni, abbondantemente premiati dai pingui carnieri di allora.

La fauna, però, diminuiva ben presto e non certo per le prestazioni atletiche di quegli sportivi, ma per ragioni ben più vaste e complesse. Si doveva scendere sempre più in basso, ci si doveva sempre più aggiornare sulle nuove tecniche di immersione. Pochi, diremmo pochissimi, sono stati in grado di seguire il passo e ben presto questi « ex » si sono visti superare e scavalcare. Ma non si sono arresi, nessun ammonitore scricchiolio delle articolazioni, ne la lancetta della bilancia in progressivo e costante aumento, ne la sconcertante ignoranza in campo tecnico (a parte l'assoluta mancanza di esperienza specifica riferita alle nuove esigenze) hanno potuto far breccia in tanta incrollabile passione e fede sportiva. Questi « ex » si sono saldamente insinuati in posizioni di responsabilità e si sono eretti ad arbitri, giudici, ma quel che è peggio, a professori. Sentirli sentenziare fa rizzare i capelli. A parole, sono sempre i più esperti sommozzatori sulla piazza, anche se, in tanti anni, non sono mai usciti dal ritmo delle immersioni domenicali e di qualche vacanza al mare. Tragicamente è onnipresente l'ignoranza che, in questi casi, è strettamente collegata con la malafede. Si raccontano molte trottole; tanto è difficile controllarle! Qualcuno assicura che a 100 metri si sente tranquillo come nel suo letto e a 70 metri ha l'impressione di avere le pinne fuori dell'acqua.

Ma, ahimè, il fisico porta i segni incancellabili di innumerevoli incidenti. Forse è una interpretazione più aggiornata della vita moderna, come dire che per essere un vero asso del volante bisogna avere ucciso qualche innocente pedone o o perlomeno avere sfasciato qualche decina di automobili.
Un tale che sapeva tutto sulla meccanica degli erogatori ne criticava qualcuno perché «dava troppa aria»!
Il neofita viene stranamente attratto da questa corrente eroica, poiché fa sempre colpo atteggiarsi a soggetto di tanto ardire. Abbiamo addirittura udito un istruttore dire in piscina ad un gruppo di allievi : « Non è un vero campione chi non ha fatto almeno un'embolia... ».

Siamo a cavallo tra due ere, quella dei vecchi che con tanta forza rimangono aggrappati ad una mediocrità sorretta da qualche effimera gloria e le nuove leve che escono da scuole dove, quasi sempre, sono stati preparati seriamente con precisa tecnica.
In molte di queste scuole, però, operano ancora troppi «ex» che non hanno mai voluto scendere dal loro piedistallo per aggiornarsi e imparare prima di insegnare. In questo settore, nell'insegnamento ufficiale cioè, sono state fatte cose egregie, è stata data la dirczione e la organizzazione in mano ad un uomo che ha passato la vita sottacqua, tutti i giorni e qualche volta anche la notte, e non solo di domenica:
.... Duilio Marcante.

Ma facciamo attenzione e poniamo ogni cosa al suo giusto livello. Un giorno, un signore ci chiese di scendere sott'acqua con noi, il fondale era notevole, oltre gli 80 metri. Alla domanda di quale preparazione avesse, ci rispose : « Ho il brevetto dei sommozzatori della FIPS ».
Questo esempio, da solo, illustra bene uno stato di cose. Troppo facilmente un pozzetto di carta può contribuire a far sopravvalutare una esperienza inesistente. Ci vogliono molti anni prima di acquisire un'esperienza completa e concreta; ci vogliono, soprattutto, una seria maturazione psicologica, una conoscenza particolareggiata di tutto ciò che potrà accadere; ed occorre anche carattere, autocontrollo e molta onestà verso sé stessi e gli altri.
Non accettate consigli ed insegnamenti dai cosiddetti « cannibali della domenica » ! Meglio applicare una modesta conoscenza ed esperienza, con il metro della prudenza, che farsi convincere a imprese le quali inevitabilmente, prima o poi, possono portare a qualche sgradevole sorpresa.

Dovrebbero essere severamente vietate l'organizzazione e l'attività di scuole che non fossero legalmente autorizzate e controllate da enti responsabili. Troppi avventurieri, del tutto impreparati sul piano tecnico, didattico e quindi morale, si trovano lungo le nostre belle coste - e persino nei capoluoghi - ad insegnare cose che non sanno. In casi accertati è risultato che certi tenutari di scuole non sanno neanche nuotare.
Vi sono anche organizzazioni straniere senza ne veste ne responsabilità legale alcuna che non danno, quindi, nessuna garanzia sul loro operato, ma che spadroneggiano ugualmente, seminando non poche vittime. Il neofita non può saperlo anche perché, in genere, l'inganno è ben celato.

Tante invisibili insidie
Ma vi sono ancora tante invisibili insidie, delle quali l'inesperto è spesso vittima innocente. Ciò valga per gli autore spiratori. Mentre esiste una legge che impone un certificato di collaudo alle bombole ad alta pressione, non cosi è per gli erogatori. Infatti, chiunque può - con una lima ed un martello - costruire un cosi delicato strumento (alla perfezione tecnica e meccanica del quale è affidata la vita di un uomo), senza il rischio di incorrere in una qualsiasi sanzione se, poi, tale apparecchio uccide. In ogni attività terrestre l'occhio vigile della legge cerca di salvaguardare l'incolumità del singolo, persino nella fabbricazione di una bicicletta, di una automobile. Per ogni realizzazione meccanica, comunque, occorrono collaudi, controlli e approvazioni. E quanti incidenti per il difettoso funzionamento di un apparecchio subacqueo non controllato preventivamente da un ente responsabile?

Tutto si presenta, all'inesperto, nel luccichio più seducente e con un martellamento di pubblicità, avvalorata da expertise di conoscitori a pagamento. Ma, sottacqua, tutta questa esteriorità si trasforma spesso in una insidiosa trappola. Abbiamo trovato apparecchi poderosamente propagandati che, già al primo impiego, si sono dimostrati inadeguati o pericolosi, bloccandosi a profondità medie. Se vi fosse un controllo serio, quante inutili e pericolose cianfrusaglie scomparirebbero dal mercato!
Certi costruttori raccolgono esperienze ed effettuano modifiche a spese dei clienti, ma se ciò accade con una macchina o una bicicletta il peggio che potrà capitare sarà di fare un tratto di strada a piedi, mentre sottacqua si muore!
Non sussistono dubbi sull'importanza decisiva e la forza di penetrazione che hanno certi mezzi di propaganda - quali la stampa, il cinema, la radio e la televisione - sul condizionamento mentale e sullo sviluppo psicologico della massa, - questi organi sono nelle mani, talvolta, di incompetenti che pretendono di far conoscere ad un più vasto pubblico un mondo, quale quello sottomarino, così ricco di incognite.

Il tutto diviene più drammaticamente nocivo, quando questi inesperti assumono atteggiamenti di competenti e maestri. Ma non si fermano li ! Essi devono suscitare a qualunque costo sensazioni, devono fare il « pezzo » e, in esso, non devono mancare le scoperte, il «visto per la prima volta », « raggiunto per la prima volta » e così via.
Un noto giornalista, accusalo per le grossolane smargiassate da lui scritte, si difese dicendo che al pubblico non si deve riferire ciò che è, ma ciò che desidererebbe che fosse. Per questo giornalista il « pubblico » è composto da una massa di sprovveduti che si possano impunemente prendere per il naso.
In una teletrasmissione si arrivò addirittura a suggerire - « per scendere meglio e più profondamente » - di mettersi addosso una pesante cintura di piombo...
Ci domandiamo meravigliati del perché di tante esagerazioni e dannose fantasticherie

II crollo dei "muri"
Due avvenimenti hanno indubbiamente, marcato con maggiore intensità l'annata sportiva 1966. I record di profondità in apnea superati, in maniera clamorosa, per ben due volte la drammatica conclusione di un tentativo di battere i primato con autorespiratore ad aria.
Sono echeggiate prese di posizione contro questi tentativi, dichiarandoli inutili e pericolosi. Se ci è consentito un parere, diciamo subito che non possiamo nascondere la nostra perplessità nei riguardi di simili affermazioni. Record e primati ci sono sempre stati e sempre ci saranno.

Non sarà la morte di un Donald Campbell a far sì che record di velocità siano proibiti o, perlomeno, non più tentati. I cosiddetti « muri » che dovevano rappresentare il limite supremo delle possibilità umane, sono sempre miseramente crollati. Il record è il punto d'arrivo in quell'istante; mentre vien stabilito, potenzialmente è già superato da nuove forze incalzanti. E una cosa è senz'altro certa, che essi sono molti utili, sono i pioli di una scala che porta l'uomo alla conquista. Ma non bisogna farci caso, questi « benpensanti » ci son sempre stati e un tempo, quando fummo al centro di identiche critiche, affermammo che eravamo ancora molto lontani dalla meta.

A conferma dell'utilità di queste imprese vogliamo ricordare un fatto, in occasione di un tragico incidente che determinò la morte dell'intero equipaggio del sommergibile « Truculent » affondato a soli 18 metri nel 1950, chiedemmo ad un esperto quali fossero le difficoltà di fuoruscita di uno scafo. Allora non vi fu risposta; oggi, invece, si fuoriesce in apnea da oltre 100 metri e si ha la convinzione di poter effettuare la fuoruscita anche da 200 metri.
A questo punto, il problema trova una sua nuova impostazione. Non si chiederà più se si deve fare, ma bensì, come si deve fare.

La morte di un ragazzo che voleva battere il primato con autorespiratore ad aria accusa e condanna una certa situazione, e riteniamo utile parlarne, sperando che un chiarimento possa in avvenire scongiurare simili leggerezze.
Citiamo un caso che non vuole essere fedelmente rispondente ai fatti, perché questi sfumano come nebbia al sole ed è, quindi, difficile ottenere precise indicazioni.
Un tale, spinto dall'entusiasmo giovanile di voler emergere a qualunque costo, farsi un nome, si sveglia una mattina con l'idea di voler diventare famoso, cioè campione del mondo. Si presenta ad una organizzazione o a chi per essa la quale, a prova ultimata, dovrà occuparsi dell'omologazione del risultato ottenuto. Racconta tante cose - che potrebbero anche essere vere - e viene subito appoggiato.

Pochi giorni prima della prova ufficiale, se ne va con una piccola barchetta a fare un'immersione di allenamento, ma a neanche due terzi della discesa, muore. E' da supporre che questo atleta abbia avuto una certa esperienza di immersioni profonde, ma come è stato accertato? E da chi? Come si può accertare che questa esperienza potesse essere sufficiente? ad una simile impresa? In quali condizioni è stato posto?' perché neanche un banalissimo inconveniente non gli desse altra alternativa che la morte? Un lieve malessere, un guasto meccanico, una distrazione, una inadeguata scelta dell'attrezzatura può anche portare a qualche contrattempo, ma non dovrà mai essere la causa di un simile dramma.
Tanti sono gli accorgimenti per una immediata risalita, anche in, istato di incoscienza, un sistema di respirazione, di soccorso ecc.

Che cosa conosceva la vittima di tutto questo?
Noi invece riteniamo estremamente utile far conoscere le cause di una simile tragedia con l'unico scopo di evitarne altre.
Per pochi soldi una magnifica impresa sportiva viene a essere degenerata in una manifestazione pubblicitaria di certi articoli che alcuni atleti non disdegnano cambiare di volta in volta. Riteniamo che sarebbe una dimostrazione di serietà commerciale se certe ditte si astenessero, nelle prove ufficiali di primati e di competizioni agonistiche, dall'appiccicare il loro nome su ogni centimetro quadro di pelle dell'atleta. Comunque, dovrebbe essere vietato, trattandosi di attività non professionistiche.
Non si può passare sotto silenzio l'attività dei « corallari », quelli cioè che pescano il corallo, immergendosi con apparecchi autonomi. Anche qui luci ed ombre.

E' questo un ambiente sconcertante, promiscuo, paragonabile in certe sue manifestazioni ai più squallidi quadri del Far West. Qui troviamo una ristretta élite di autentici fuoriclasse, tecnicamente e scientificamente all'avanguardia e di buon livello culturale e intellettuale. Si ha, per contro un folto gruppo dal quale traspare, a prima vista, l'origine di senza patria. Questi individui non disdegnano di approfittare di quel che un collega ha trovato con tanto rischio e sacrificio; abbandonare sul fondo un compagno in difficoltà; fare denunce anonime; dispettose azioni della più bassa specie e per qualche ramo di corallo esibirsi in furiosi scontri di pugilato. Si è arrivati, addirittura, all'uso di armi contro un collega con minacce di morte.
Esclusi pochi autentici fuoriclasse, gli altri conoscono il problema dell'immersione solo per averne sentito parlare. I quasi analfabeti, hanno imparato poche nozioni ed è spaventoso vedere con quale tecnica si immergono. E' un gettarsi incosciente allo sbaraglio e le conseguenze sono più che evidenti. Gli incidenti sono molto frequenti: paralisi parziali e totali, svenimenti, dolori muscolari ed articolari, gonfiori diffusi in tutto il corpo e qualche caso di morte.

Qualcuno di questi ha avuto il coraggio di mettersi in cattedra per tenere conferenze, nonostante l'interminabile serie di incidenti che sono la conferma del ... suo poco sapere in questa materia.
Fisicamente mal ridotti si trascinano avanti, incoraggiando con il loro esempio, nuove vittime. Ma, nonostante questa drammatica situazione personale, tali uomini meriterebbero molta attenzione perché continuano le discese e pongono in dubbio, con esse, i principi sui quali si basa la moderna medicina subacquea.
Certo sorprende come la medicina ufficiale abbia ostinatamente ignorato questi soggetti che potrebbero essere le più interessanti cavie.

Non vi è dubbio che anche dagli errori altrui si possono trarre indicazioni e insegnamenti, ma, soprattutto, si potrebbero studiarne le conseguenze.
Durante la stagione nelle acque di Santa Teresa di Gallura si effettuano da 20 a 30 immersioni al giorno oltre gli 80 metri e qualche volta si supera la barriera dei 100. Riteniamo pur sempre valida una simile esperienza anche se ottenuta in maniera poco ortodossa.

I rapporti tra medici e subacquei, almeno sotto questo profilo è del tutto inesistente. Se il gruppo più qualificato di questi uomini di scienza scendesse al livello dei fatti, molte incertezze sarebbero presto eliminate ma soprattutto
si eviterebbero le strane conclusioni alle quali arrivano certi congressi medici e certe « tavole rotonde ».

In molti simposi si è parlato di imporre visite preventive specialistiche. Ma dove, chi le effettua e come si trovano centri veramente organizzati che possono garantire un approfondito esame clinico? Anziché proporre imposizioni, non sarebbe meglio creare prima le basi?

Si è parlato anche di tassare i sub e passare il ricavato alla medicina specializzata.
Oggi chiunque possiede una laurea in medicina si sente autorizzato ad esprimere sentenze nel campo dei problemi della fisiologia in immersione. Quasi tutti i quotidiani e settimanali hanno una rubrica medica e, periodicamente, vi trattano argomenti di carattere sub. Danno consigli!
Generalmente, l'estensore di queste note è un medico generico che di questi problemi altamente specialistici non ha la più pallida informazione, confonde l'aria con l'ossigeno e conosce appena la meccanica di una embolia.
Ad una tavola rotonda, alla TV, abbiamo sentito una frase che ci ha fatto rizzare i capelli.
In genere, si assiste a grande sfoggio di terminologia scientifica, di erudizioni, d'alta cultura. Che, poi, il tutto non sia collegato con la realtà dei fatti, questo non importa.
Sarà certamente utile porre in evidenza la sconcertante incertezza che si manifesta nella compilazione delle tabelle di decompressione. Sappiano che l'applicazione di queste deve essere scrupolosamente osservata e che un errore anche minimo può portare a conseguenze molto gravi.

Errori di pochi minuti possono essere la causa dell'insorgere di fenomeni embolici e viene, quindi, spontaneo chiedersi come sia possibile che tra tabelle e tabelle vi debbano essere differenze di ben 40 minuti.
Forse il subacqueo, prima di scendere, giocherà a bussoletto per scegliere la tabella che dovrà applicare, si intende dopo aver raccomandata l'anima a Dio.
In quattro anni di immersioni profonde, considerando solo quelle compiute oltre gli 80 metri fino ai 100 e più per un totale di oltre 900, non siamo incorsi nel più lieve incidente, non abbiamo conosciuto narcosi, embolia, malessere.!
L'esperienza ci ha insegnato tante cose, ma soprattutto' ad applicare le tabelle con criteri leggermente diversi. Ci rendiamo conto che sarebbe da incoscienti rendere pubblico quanto sopra solamente attraverso molte applicazioni su diversi organismi si potrebbe provare e confermarne l'esattezza. Qui dovrebbe intervenire un'alta coscienza medica collegiale, di cui parlavo prima.

Ma, comunque, una massima ci sia concessa: «Meglio decomprimersi 5 minuti di più che 1 di meno ».

Poniamo termine a questa breve esposizione di fatti e aspetti negativi che sono alla base di tanti, troppi incidenti, con la speranza che certe situazioni siano affrontate con la dovuta energia, ma che soprattutto siano severamente condannate certe leggerezze.
I pochi che veramenTe sanno, sono sommersi dalla stragrande massa di sapientoni da tavolino e speriamo che presto i fatti smentiscano una frase detta da uno dei più esperti subacquei del mondo: Alberto Novelli, che ebbe a dirci:
« Contro i grafomani e i logorroici non vi è difesa, bisogna lasciarli dire e non serve protestare... ».


RAIMONDO BUCHER

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