Dopo un'attenta lettura dei Manuali delle Scuole Federali Sommozzatori Sportivi editi dalla FIPS sotto il patrocinio del CONI e della CMAS, ritengo opportuno aprire un dialogo per chiarire alcuni punti controversi. Premetto, anzitutto, che quanto sto per dire non vuole essere una critica ne tanto meno aprire polemiche, ma è semplicemente un'esposizione di fatti, osservazioni e studi maturatisi attraverso una lunga e costante attività subacquea.
Voglio prevenire un'osservazione che indubbiamente mi sarà fatta e cioè che questi Manuali sono stati scritti esclusivamente per le Scuole.
Che cosa è una Scuola? Nel concetto comune significa la preparazione e l'apertura dell'uomo verso un'attività che può essere intellettuale come anche prettamente fisiologica, quindi sportiva. Ogni disciplina ha la sua Scuola e trattandosi di un argomento che possiamo impropriamente definire sportivo va consideralo come tante altre discipline quali ad esempio il nuoto, il tennis, l'atletica, la pallacanestro, la boxe etc. Volutamente ho elencato discipline che si esplicano entro certi limiti soprattutto di spazio e dove ciò che si apprende « a scuola » rimane quindi alla base dell'attività futura salvo miglioramenti e perfezionamenti. Non così il nostro campo, quello cioè dell'attività subacquea. Questa palestra non ha limiti ne confini, quindi ritengo che anche l'insegnamento scolastico vada orientato verso questi orizzonti tanto più che nessun'altra attività si presta cosi facilmente a sconfinamenti, a valutazioni improprie ed errate che inevitabilmente portano a conseguenze anche fatali. Sempre e comunque si dovrà tener presente il fattore psicologico che troppo spesso induce colui che si accinge ad intraprendere la strada verso ed entro questi smisurati confini, di non dare la giusta valutazione su ciò che si può presentare in qualsiasi occasione. Parlare di limiti od imporre limiti è perlomeno azzardato se non ingenuo.
Sappiamo che la variazione di pochi metri può far precipitare una situazione che apparentemente può essere considerata nel limite prudenziale. Considerando come valido questo fattore, cioè il fattore nell'ambito del quale si dovrebbero comunque svoi gere le attività scolastiche di cui ne fa testo il Manuale in oggetto, ritengo opportuno aprire una parentesi più vasta e questo per aver raccolto innumerevoli dichiarazioni, affermazioni,considerazioni nel vasto campo di coloro che si apprestano ad esplicare questa particolare attività o che comunque ne siano già degli esperti.
Per quanto sopra, quindi, non si può considerare un insegnamento entro i limiti di una piscina e bisogna quindi creare sin dall'inizio le basi didattiche tecniche e materiali rispondenti all'attività nel senso più vasto. Premesse questo esporrò in seguito alcuni fatti citerò alcuni avvenimenti di una vastissima esperienza ed osservazione effettuata attraverso 27 anni di intensa attività, ma soprattutto attraverso un'esperienza di oltre un migliaio di immersioni ritenute dal concetto attuale delle nostre conoscenze tecniche fisiologiche al limite delle possibilità umane, cioè immersioni di lavoro con permanenze prolungate, con respiratore ad aria pura, (non con miscele) varianiti da profondità di 80-110/115.
Qui mi si dirà che questi sono exploits riservati a pochi e che comunque non vanno considerati entro i limiti prefissi dal summenzionato Manuale. Ma ecco da dove vorrei aprire un parentesi del dialogo.
Consideriamo a semplice titolo di esempio un'automobile. Se questa macchina per un difetto costruttivo o perchè giunta al limite delle proprie prestazioni, manifesta degli inconvenienti, ad esempio sbandamenti od altro, questi difetti non saranno avvertibili, supponiamo alla velocità di 30 Km. all'ora. Se invece la macchina arriva ai suoi limiti critici questi difetti od inconvenienti si manifesteranno con sempre maggiore evidenza fino al punto, del « disastro ». Ciò non toglie che i summenzionati difetti esistevano già in maniera del tutto impercettibile anche a 30 Km. all'ora, ma, e questo è ovvio e soprattutto umano che pochi, pochissimi, marceranno con questa vettura sempre e solo a 30 km. all'ora, anzi vivranno coloro che truccando il motore, vorranno superare i limiti imposti, dalla casa costruttrice.
E torniamo allora al nostro elemento acquatico. Vi sono, su questa attività, varie teorie, tendenze, espressioni che in gran parte si sono sviluppate teoricamente, per supposizioni, per sentito dire. E così accade che spesso vi sono autori di trattazioni specifiche che parlano di cose delle quali non hanno un'esperienza personale ed approfondita. Persino la scienza ufficiale, con tutto il merito ed il rispetto che le si deve, il più delle volte si basa su teorie, su formule, su calcoli che spesso in pratica, danno risultati errati. Ne abbiamo un esempio in certe tabelle di decompressione.
Narcosi da azoto: un effetto che si produce sempre
Ma non è di ciò che voglio parlare, perche questo capitolo è a parte, molto vasto e soprattutto molto delicato. Mi riferisco invece ad un altro inconveniente altrettanto pericoloso se non di più, ed è quello che in gergo viene chiamato « l'ebbrezza degli abissi ». Per chiarire meglio il mio concetto mi ferirò a quanto scritto nel Manuale
in oggetto indicando la frase e la pagina.
Vorrei specificare, prima di entrare tale argomento, che quanto sarà da me posto, va considerato sempre ed unicamente per immersioni sportive nel limite delle autonomie di autorespiratori ad aria, quindi non ha nulla a che vedere con le complesse e prolungate permanenze di immersioni professionali che comunque, si orientano ormai verso l'impiego di altre miscele. Riporto quanto contenuto nella parte VI del Manuale (Medicina Subacquea) a firma del Prof. Dannano Zanni a pag. 45 che parla della "ebbrezza da profondità"
Le esperienze di oltre un migliaio di immersioni
« E' dovuta principalmente all'aumento della pressione parziale dell'azoto che acquista progressivamente un effetto narcotico (narcosi da azoto). Tuttavia si possono verificare anche altre turbe neuropsichiche alle quali sembrano contribuire anche una certa ritenzione dell'anidride carbonica e la iperossia che può verificarsi in profondità. Pertanto questo fenomeno è stato chiamato in senso generale anche « sindrone neuropsichica di profondità o ebbrezza degli alti fondali ». I disturbi possono manifestarsi già a profondità di 40 metri per certi soggetti e sono sempre più probabili o frequenti man mano che si aumenta la profondità. Oltre gli 80 metri soltanto soggetti particolarmente addestrati e resistenti possono rimanere indenni per pochi minuti o capaci di contrai lare la situazione per un tempo limi tato anche se colpiti dai primi disturbi. La narcosi da azoto quindi è un effetto che si produce sempre ».
Vorrei marcare in modo particolare questa ultima frase perché è su di essa che baserò quanto ho potuto osservare e che ritengo di riferire.
Prendiamo qui la nostra ipotetica automobile e trasportiamo i dati citati nel campo subacqueo. Dirò subito che a portarli su certe considerazioni di carattere psicofisiologiche sono state proprio le immersioni alle grandi profondità, cioè ho potuto notare fenomeni molto evidenti solo al di là di certi limiti ma che comunque si manifestavano attraverso questa maggiore conoscenza e sensibilizzazione, anche a profondità minori.
Ciò vuoi dire che, attraverso una prova di forza accentuata, si può arrivare a scoprire fatti che altrimenti sfuggirebbero dalle loro vere indicazioni. Sin dai primi momenti mi apparve strano osservare su di me e su occasionali compagni di immersione certi fenomeni che, alle volte, si manifestavano a profondità minori mentre altre volte non si manifestavano affatto.
Ovviamente, come prima direttrice, ho voluto seguire le indicazioni e i suggerimenti che più sopra sono espressi con tanta chiarezza dal Prof. Zannini.
Infatti, riferendomi ai mezzi tecnici e meccanici di allora, avvertii più volte disturbi neuropsichici a profondità anche modeste come ad esempio sui 40 metri.
Con il progredire della tecnica e con l'aumentare della profondità questi fenomeni si evidenziavano con maggiore incisione ed ho voluto, attraverso le descrizioni di altri colpiti, seguire una mia idea. Osservavo alcuni miei compagni di immersione colpiti da questi terrificanti fenomeni : essi, ritornando in superficie, o, per meglio dire, dopo essere stati da me trascinati verso la superficie, me ne descrivevano le caratteristiche.
Lo svolgimento si effettuava grosso modo in questi termini : ad un ritmo intenso di picchettamento, lungo una parete per la raccolta del corallo, l'attività, all'improvviso, rallentava sempre più, fino a cessare del tutto dando al volto del colpito un'espressione ebete con lo sguardo assente. In superficie mi raccontavano che erano coscienti e percepivano le mie segnalazioni, ma erano del tutto incapaci di effettuare una qualsiasi manovra per porsi in salvo.
Volli effettuare una prova per scoprire se la causa di tali manifestazioni fosse attribuibile all'azoto o ad altri gas. Scesi da solo ad una profondità di 90 metri e sapendo che prima o poi doveva accadere quanto già accadduto ai miei compagni predisposi un sistema che mi avrebbe, in caso di perdita di conoscenza, permesso di essere riportato verso la superficie. Proseguii nel mio lavoro ma quando mi accorsi che l'aria contenuta nel respiratore stava esaurendosi non volli tirare la riserva.
Un processo ai mezzi meccanici di respirazione
II ricordo di quella esperienza ancora oggi mi fa accapponare la pelle. Nello spazio di pochi secondi, credo al massimo 3 o 4, ebbi a sentire gli stessi fenomeni descritti dai miei compagni. cioè, pur mantenendo una certa capacità e facoltà intellettiva, ero del tutto incapace di una qualsiasi azione. Il predisposto sistema mi riportò verso l'alto.
Alla quota di circa 50 metri ripresi in pieno le mie capacità di azione, tirai la riserva e ridiscesi a quota 90. Il fenomeno poc'anzi avvertito non si ripetè. Risalii senza alcun inconveniente. Volli in seguito osservare il modo di respirazione di alcuni subacquei. ina soprattutto controllare l'apparecchiatura ed in modo particolare gli erogatori. Le cause mi apparivano sempre più chiare. Bastava, alle volte, che un soggetto colpito da ebbrezza a media profondità cambiasse l'erogatore per raddoppiare la discesa senza alcun fenomeno negativo.
Ebbi. a quei tempi, un'altra prova evidente di quanto sopra. Usavo da molto tempo, durante un lavoro a quota -100 sempre lo stesso erogatore che incominciava a manifestare, forse per un accumulo di impurezze o di ossidazioni od altro, una certa resistenza respiratoria. Contemporaneamente incominciarono a svilupparsi i fenomeni ben noti di stordimento ed affaticamento. Cambiato l'erogatore, pur mantenendo la quota di profondità ed aumentando i tempi di permanenza i suddetti fenomeni scomparvero completamente.
A questo punto vorrei aprire un processo ai mezzi meccanici di respira zione per indicare la vera causa delle manifestazioni di ebbrezza anche a quote modeste.
RAIMONDO BUCHER
Via Anconetana, 129 - Località La Pace - 52100 Arezzo
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